Il voto di aprile ci ha consegnato alcuni dati tanto semplici quanto ricchi di implicazioni e significati. Il primo è rappresentato dalla limpida vittoria di Wanda Ferro alle consultazioni provinciali: con oltre ottantamila voti, circa un migliaio in più rispetto a quelli che Michele Traversa incassò al ballottaggio del 2004, la Ferro ha scongiurato il pericolo astensione ottenendo un risultato inimmaginabile fino a qualche settimana fa. La donna che per la prima volta ricoprirà l’incarico di presidente della Provincia di Catanzaro e che ha individuato nel voto giovane e trasversale il proprio punto di forza, è ora chiamata ad un compito, comunque, non facile: governare un territorio piuttosto bizzoso e insofferente (al secondo turno più della metà degli elettori ha preferito non votare col record negativo di Lamezia Terme); dirigere una coalizione variegata e ricca di “primedonne” (anzi di “primiuomini”, vista la composizione al maschile del Consiglio); gestire l’incertezza della politica nazionale ove c’è chi spinge per la riduzione, se non per l’eliminazione, degli enti intermedi e chi, invece, ne auspica il potenziamento. Il tutto in un contesto in cui restano forti e drammatici i problemi di sempre come la disoccupazione, la criminalità organizzata, il clientelismo e il malfunzionamento della macchina pubblica. Alla neopresidente, dunque, si chiede non solo e non tanto di continuare il lavoro iniziato dal suo predecessore quanto di imprimere all’azione di governo una impronta personale, dimostrando autonomia di giudizio e maturazione politica e promuovendo quei valori professati con tanta verve in campagna elettorale (spazio al merito e alle capacità dei singoli, rispetto della legalità, innovazione tecnologica, stop alla politica dei favori, coinvolgimento delle nuove generazioni).
Il secondo dato che merita di essere trattato è la sonora sconfitta rimediata dal centrosinistra. Agazio Loiero prima e Pierino Amato poi hanno assistito, forse un po’ troppo inermi, ad una disfatta che sembra avere radici profonde e su cui è necessaria una altrettanto profonda riflessione. Le Politiche hanno rivelato una regione spostata a destra in coerenza col resto d’Italia. Ma il recente esito elettorale è qualcosa di più, un cartellino giallo sventolato in faccia al governo regionale, non trasformatosi in rosso per il solo fatto che non era in gioco la carica di governatore: dilapidato il 60% dei consensi conquistato nel 2005, i calabresi sembrano decisamente critici nei confronti dell’attuale amministrazione, nonostante le sirene del federalismo fiscale e il gran lavoro profuso per la programmazione europea.
Amato, invece, è reduce da una doppia sconfitta: non solo come candidato presidente, ma anche in qualità di coordinatore cittadino del Pd. E se era difficile ipotizzare commenti di dispiacere, anche in considerazione del prestigioso ed economicamente generoso paracadute rappresentato dalla carica di consigliere regionale, le parole del candidato democratico, all’indomani della debacle, non sono state neanche lontanamente di autocritica: «Abbiamo pagato il trend nazionale … non abbiamo avuto il tempo per far comprendere il nostro messaggio … politiche e amministrative hanno consegnato uno scenario che non rispecchia pienamente la realtà e sul quale pesano troppi eventi a noi sfavorevoli». Eppure le cose non stanno esattamente così: basti pensare ad alcune roccaforti del centrodestra, come Udine, Sondrio e Vicenza, passate agli avversari o la conferma, non scontata, alla provincia di Roma. Il discorso è più complesso di quello che si vuol far credere: il partito di Veltroni a Catanzaro e provincia non ha sfondato; è gestito secondo logiche “vecchie” non solo e non tanto per l’età dei dirigenti (a rappresentare il “nuovo” erano spesso Rosario Olivo, Donato Veraldi, gli stessi Loiero e Amato) ma per mentalità e carriera; non apre ai giovani e alle donne, ai lavoratori e alle associazioni, agli imprenditori: insomma, a quelle forze vive della società che si affacciano, per la prima, volta alla politica. In casi del genere ci si aspetterebbe una presa di coscienza e un atto di responsabilità da parte dei vertici del Pd, magari un dignitoso ritiro di chi ha perso. Sembra, invece, che nessuno sia intenzionato a pagare per la pesante sconfitta di aprile; anzi, il clima che si respira è quello dell’ennesima resa dei conti in cui ad uscirne con le ossa rotte finirà con l’essere, ancora una volta, l’elettorato di centrosinistra. Il rischio, concreto e pesante, è l’impossibilità di incidere in un partito che se rimarrà chiuso nelle proprie certezze sarà destinato a essere opposizione per un lungo periodo di tempo.
Massimo Calabrese