mercoledì 30 giugno 2010

Qualcuno ci spiega qualcosa?



Prima o poi qualcuno dovrà spiegare ai propri elettori i motivi per cui Rosario Olivo ha rassegnato le dimissioni anche perché, sino ad oggi, nessuno sembra volerlo fare. Le frizioni tra il Sindaco e la sua (ex) maggioranza hanno storia vecchia: sono iniziate pochi mesi dopo l’insediamento del primo cittadino e proseguite nel corso degli anni fino all’epilogo della scorsa settimana. Nonostante ciò, uno straccio di spiegazione, un commento approfondito, una discussione sull’accaduto l’avrebbero meritata quantomeno le migliaia di elettori che, per una serie di circostanze (si può con tranquillità affermare “inaspettate”), si sono ritrovati, per la prima volta nella storia, a governare Catanzaro. Una prospettiva che non ha impedito a Giovanni Merante, Gennaro Mellea e Giulio Elia di abbandonare gli scranni del centrosinistra per rimpolpare, nel corso della legislatura, le fila dell’opposizione; un evento che non ha convinto Francesco Granato, già assessore al Personale e al Patrimonio, che ha deciso di lasciare il Sindaco per coordinare le liste di Scopelliti e occuparsi a tempo pieno del Pdl; una possibilità che non ha sensibilizzato Valerio D’Andrea e Rosario Mancuso, la minoranza della maggioranza, che ancora oggi non si comprende chi sostengono e chi rappresentano; fino all’autosospensione dal Pd di Benedetto Cassala, uno dei più giovani consiglieri comunali, a suo dire costretto ad una scelta del genere dalle dinamiche del partito. Nessuna sorpresa, dunque, per quanto successo lunedì nell’aula rossa. Eppure, una qualche spiegazione forse era dovuta, un sia pur piccolo elemento per capire come mai di fronte l’importante prospettiva di incidere sulla storia della città, la maggioranza si è dimostrata senza nerbo e, soprattutto, senza alcuna prospettiva. Risibile la tesi, da qualcuno paventata, di un mancato coordinamento tra i consiglieri durante il voto per una pratica non “fondamentale” come la nomina dei revisori: un buon motivo per prendere atto delle proprie incapacità amministrative e rassegnare senza indugio le dimissioni. Più concreta, invece, la tesi del segnale politico lanciato al Sindaco in una difficile fase di fine legislatura con numerosi problemi sul tavolo, dagli sfollati per le frane alle periferie poco sicure, dal salvataggio del calcio a Catanzaro fino al varo della nuova giunta. Ecco perché, in un momento così delicato, sarebbe utile conoscere quale sia e perché il messaggio mandato ad Olivo. Gli elettori, almeno quelli più accorti, se non altro coloro che stanno progressivamente disertando le urne, chiedono chiarezza e trasparenza oltre ad un impegno proficuo e continuo nell’occuparsi dei problemi della collettività; i loro rappresentanti, però, sembrano non accorgersene. Resta la preoccupante sensazione di una politica ancora una volta fine a se stessa, impegnata più a risolvere le questioni personali e a trovare la giusta collocazione in vista delle prossime elezioni, piuttosto che pronta a difendere il lavoro svolto e a porre le basi per dare continuità all’azione amministrativa. La palla resta, comunque, nelle mani del primo cittadino, chissà quanto ammaliato dai numerosi attestati di solidarietà provenienti da tutte le parti: prevarrà il senso di responsabilità (oltre a una maggioranza blindata fino a fine legislatura) o la consapevolezza che una stagione è finita ed è inutile prolungarne l’agonia?


Ps. Rosario Olivo ha ritirato le dimissioni.

Povero pesce...

È possibile coniugare piacere per la buona tavola e tutela dell’ambiente? Secondo il presidente del comitato scientifico di Slow Fish, Silvio Greco, non solo è possibile ma deve essere un impegno costante e quotidiano di tutti, consumatori e venditori, produttori e ristoratori. Lo ha detto nella serata organizzata da Slow Food, condotta Università, durante la quale l’ex assessore regionale all’Ambiente ha illustrato il suo ultimo libro, “Guarda che mare. Come salvare una risorsa”, edizioni Slow Food, realizzato con Cinzia Scaffidi, filosofa e storica, direttrice del Centro Studi Slow Food. I temi affrontati sono stati diversi, dalle tipologie di pesca effettuate nei nostri mari fino ai recenti regolamenti emanati dalla Comunità europea, dalle abitudini alimentari sbagliate ai consigli per un uso corretto e sostenibile delle risorse marine. I presenti hanno seguito con curiosità e interesse le problematiche illustrate da Greco, tanto da interloquire a più riprese con l’autore, disponibile a rispondere alle domande sullo stato di salute del Mediterraneo. Ne è uscita una discussione che ha riservato alcune sorprese come l’esistenza di oltre trecentocinquanta specie commestibili nei mari d’Italia quando sulle nostre tavole se ne mangino una decina appena. Greco ha raccontato della battaglia per preservare il tonno rosso, «un pesce molto apprezzato soprattutto nel sud est asiatico, pescato e trasportato con metodi ben precisi, per cui si spendono fino a cinquecento euro per assaggiarlo nei sushi bar». Oppure, del riscaldamento delle acque, «anche di dieci centigradi, che ha provocato alcuni fenomeni significativi come lo spostamento verso nord di alcuni pesci come la ricciola o il barracuda, tipicamente meridionali; o, ancora, dell’invasione di meduse, il cui ciclo riproduttivo è stato sconvolto, per cui aumentano a dismisura: poiché occupano gli spazi lasciati liberi (ad esempio, a causa della pesca della neonata), predatrici di larve e uova di pesci, soffocano gli altri microorganismi». Non è mancato l’accenno ai pescatori, soprattutto a quelli calabresi, preoccupati per le nuove norme emanate dalla Comunità europea. Secondo Greco, «per quanto riguarda la maggiore larghezza delle maglie delle reti, non ci saranno particolari problemi perché si pescheranno pesci adulti che hanno un valore maggiore nel mercato»; diverso, invece, il discorso sulla distanza minima dei pescherecci dalla costa: «In una regione come la nostra - ha proseguito - non ha senso il limite del miglio e mezzo dalla riva perché già a poche centinaia di metri si raggiungono profondità considerevoli». Restando in Calabria, l’autore ha parlato del consumo di merluzzo, «sia lavorato come stoccafisso alla norvegese, sia come baccalà alla maniera portoghese: una pratica da modificare perché in regione c’è una biodiversità straordinaria». Rassicurazioni, invece, per quanto riguarda la mitilicoltura: «Per quanto riguarda cozze e vongole, la qualità è garantita e anzi – aggiunge il biologo nelle vesti di gastronomo – un paio di ostriche fanno meglio di una scatoletta di selenio acquistata in farmacia, ancora meglio se accompagnate da un buon vino calabrese». In effetti, il tema dell’incontro è proprio rivalutare alcune specie marine, commestibili e saporite, ma poco utilizzate nonostante siano presenti in abbondanza nei nostri mari: «alalunga e palamita, guglia imperiale e lampuga, comunque pesci con un ciclo vitale non lungo; ricordate che quando una specie si estingue non torna più e la cosa ci riguarda molto da vicino perché anche noi siamo una specie vivente».
Antonio Abbruzzino, chef e socio Slow Food, sembra aver colto in parola l’ospite della serata se è vero che il menù offerto ai partecipanti ha avuto come base il cosiddetto “pesce povero”: filetto di pesce sciabola panato agli agrumi con cipolla all’agro e salsa al gaglioppo; millefoglie di sgombro con scarola, uvetta e mandorle su crema di patate e tartufo del Pollino; ravioli di lampuga con erbette e fiori di zucca su vellutata di datterini di Sicilia; interpretazione di aguglia imperiale e dessert finale con semifreddo ai pistacchi di Bronte e nocciole su ganache al fondente. Originale, e ottimo, anche il gelato alla vaniglia con pane abbrustolito e olio dell’azienda Torchia di Tiriolo, sponsor della serata, presente con Tommaso Torchia e Lucia Talotta, la quale ha illustrato alcune caratteristiche della produzione.
In conclusione, una serata importante e ricca di spunti, a dimostrazione che si può mangiar bene tutelando l’ambiente da cui ricaviamo il cibo e privilegiando, nel caso del pesce, le specie poco considerate, per pigrizia o scarsa conoscenza, ma altrettanto buone rispetto quelle più comuni. Inoltre, abbiamo scoperto che il pane accompagnato da un ottimo olio si abbina in maniera perfetta col gelato alla vaniglia per un dessert inaspettato e originale.

domenica 13 giugno 2010

Metti una sera a cena col Carlin...


Non so cosa ci si aspetta di solito da un incontro con Carlo Petrini, storico fondatore di Slow Food, battagliero gastronomo e ambientalista convinto («Un gastronomo che non è ambientalista è uno stupido; un ambientalista che non è gastronomo è triste» ama ripetere), insignito dei più svariati encomi, oggi presidente dell’emanazione internazionale dell’associazione. Eppure, i sentimenti appaiono subito contrastanti: vuoi perché leggi che è, o meglio era, malato; vuoi perché è una persona in là con l’età ma non sembra; vuoi perché i media riescono a distorcere l’immagine di una persona: insomma, il Carlin si presenta diverso. Alto, abbastanza robusto, uno stomaco pronunciato (si dice per un virus contratto durante i viaggi per il mondo), un accento piemontese (è nato a Bra) non esattamente definibile, una parlata strascicata che si trasforma in tono possente e sicuro quando si tratta di raccontare le battaglie sostenute e quelle prossime venture. Insomma, un personaggio carismatico, socievole e loquace, con progetti chiari e con tanta voglia di realizzarli. Il tour calabrese, ospite del progetto Gutenberg, lo porta, in poche ore, all’Unical di Rende e all’Auditorium Casalinuovo di Catanzaro, con una puntata a Serrastretta per visitare la aziende che producono Castagne e Pastille e il museo dedicato alla cantante e attrice Dalida. Noi lo incontriamo all’iniziativa organizzata nel capoluogo dove parla per oltre un’ora, a braccio e in piedi, per poi rispondere alle domande degli studenti. Ecco alcuni stralci del Petrini pensiero.

Comunità Terra Madre.

«La rete delle comunità del cibo di Terra Madre lavorano senza particolari aiuti e nonostante esistano carrozzoni inutili come la FAO che garantiscono stipendi faraonici ai loro funzionari»;

«Internet ha delle potenzialità enormi: una cuoca Sami (del nord Europa) ha insegnato le proprie ricette ad un’altra che abita nelle favelas di Rio de Janeiro»;

«Bisogna rispettare i tempi e i modi dei territori e non aiutare per forza laddove non è necessario: non serve il perbenismo culturale»;

«La terza rivoluzione industriale è in atto: si tratta di coniugare energie rinnovabili e realtà agricole ma non in maniera intensiva altrimenti si provocano danni»;

«Recuperiamo la saggezza dei contadini che valorizzavano il fondo senza bisogno di sussidi calati dall’alto».

Politica.

«Occorre una nuova democrazia partecipativa applicata nel locale per non restare soli ma essere forti e protagonisti nelle scelte politiche»;

«Sono rimasto deluso dalla mia “Sinistra” sui temi come il “sì” nucleare o alla transgenia; sono annoiato dal dibattito se Sloow Food è di destra o di sinistra»;

«Con l’economia che va a rotoli, il problema principale è quello delle intercettazioni?».

Carne e pesce.

«Il consumo di carne è esagerato: occorre moderarlo perché ce n’è per tutti»;

«Per difendere i pescatori stiamo distruggendo il loro futuro: le reti a strascico stanno distruggendo l’habitat marino».

Calabria.

«Prima di chiedervi perché non siete riconosciuti fuori regione, domandatevi se i vostri prodotti sono consumati nei vostri ristoranti, ospedali, mense, case di cura: nessuno è forte nel mondo se non lo è prima a casa sua! Conquistiamo la nostra gente e poi travalichiamo i confini»;

«“Nicchia” è una parola senza senso»;

«Ho mangiato delle buonissime scilatelle al sugo; ho chiesto del formaggio e cosa mi hanno portato? Il Grana! Dopo tanti chilometri mi tocca un prodotto del nord? L’ho fatto portare via per un po’ del vostro pecorino!»;

«Quelli del Sud hanno insegnato tante cose che la protervia del Nord ha dimenticato: mantenete le vostre tradizioni».

Le frasi.

«Non c’è ingiustizia peggiore di quella che perpetriamo a chi viene dopo di noi»;

«La dicotomia è: contrazione per chi ha avuto, convergenza per i più poveri»;

«Morigeratezza, qualità alimentare, condivisione e generosità: le nuove battaglie devono essere un diritto di tutti»;

«Il diritto al buono e al bello è un diritto universale; la cultura del non sprecare e l’educazione alimentare dovranno esser vissuti come un piacere».

Concluso il dibattito all’Auditorium, Petrini ha visitato gli stand allestiti dalla Coldiretti con prodotti tipici provenienti da tutta la Calabria.

Quindi, in fila indiana verso il ristorante del socio Antonio Abbruzzino, in cui si è tenuta la cena (di cui alleghiamo il menu), a cui hanno partecipato le delegazioni di tutte le condotte calabresi.

Da segnalare l’encomiabile lavoro organizzativo della nostra condotta, che ha ricevuto a fine serata pubblici ringraziamenti sia per l’organizzazione dell’incontro conviviale sia per l’accoglienza riservata ai soci provenienti da ogni angolo della Calabria.

Durante la cena, la condotta Sloow Food Catanzaro Università ha consegnato a Carlo Petrini (che avrà ripetuto «grazie ragassi, continuate così» una decina di volte, ndr) un segnalibro in argento, raffigurante l’unica moneta coniata a Catanzaro nel 1528.

Petrini ha quindi ringraziato Antonio Abruzzino («Ci vorrà del tempo prima che capiscano la tua cucina!»), ha tenuto un breve discorso sulle prossime iniziative Slow Food e prima di concedersi per le rituali foto di rito, ha regalato ai commensali un ultima chicca: «L’orto di Michelle Obama alla Casa Bianca non produce perché la terra non è fertile ma ha un grande ritorno di immagine; sapete a chi hanno contattato per avere qualche dritta per realizzarlo?»

Derrick Morgan al Reggae Train Sun Fest 2010 di Catanzaro

ALCUNE IMMAGINI DAL REGGAE TRAIN SUN FEST 2010 AL PARCO DELLE BIODIVERSITA' DI CATANZARO

I primi concerti

Il parco si riempie.

Farerete per l'acqua pubblica.

L'arte "pulp" di Angelo Nifosì.

Parte la musica dei sound.

Birra artigianale per tutti

Arte al parco con Niko Citriniti

Giamaica? No problem!

Merchandising!

Derrick Morgan

Gran concerto

Tanta gente ...


Il pubblico per Derrick



Remo Danovi: Etica, tra cinema e realtà.




«La responsabilità delle donne che lasciano il potere agli uomini è la stessa di quelli come noi, pigri e inutili, che delegano la guida agli uomini disonesti». Parole forti quelle di Remo Danovi, avvocato e professore universitario nonché membro per diversi anni del Consiglio nazionale forense fino a diventare presidente negli anni 2000, ospite dell’ultimo caffè giuridico letterario organizzato dall’associazione “Diritto di difesa”. L’occasione è la presentazione del libro, “Processo al buio. Lezioni di etica in venti film” in cui Danovi ha utilizzato il genere del legal thriller per esaminare il rapporto tra diritto e giustizia, etica e verità. «Il libro è nato da un’osservazione pratica: utilizzavo esempi cinematografici durante le lezioni e, agli esami, se i miei studenti avevano difficoltà coi principi giuridici, ricordavano perfettamente le scene dei film», racconta il giurista milanese. L’excursus parte dagli anni Cinquanta con pellicole come “Rashomon” di Akira Kurosawa («Un omicidio raccontato da cinque persone diverse e in altrettanti modi differenti») e “La parola ai giurati” di Sidney Lumet («Il ragionevole dubbio di un giurato che progressivamente instilla negli altri la possibilità della non colpevolezza di un ragazzo nero accusato di parricidio») per analizzare il nesso tra giustizia e verità («Uno scrittore messicano sostiene che “la verità è il profumo di un mazzo di errori”; allora, per raggiungerla occorre l’impegno di tutti»). Quindi, si passa a lungometraggi come Il verdetto, in cui Paul Newman interpreta un avvocato in declino che fa di tutto per accaparrarsi i clienti, o Conflitto di classe di Michael Apted, che consente allo scrittore di descrivere l’istituto del “Discovery of documents” per cui «in America, un giudice può ordinare l’esibizione tutti i documenti utili al raggiungimento della verità, anche la corrispondenza tra il legale e il cliente: una cosa impensabile nel nostro sistema». Il filo conduttore del saggio è, comunque, l’etica e Danovi, autore del codice deontologico di categoria, si abbandona in un’appassionata arringa: «La domanda che dobbiamo porci è cosa rappresenta oggi l’etica - dice -. Considero l’avvocato colui che si dà carico delle pene e dei pensieri altrui quando sono in difficoltà. Pertanto, un valido professionista, non può pensare solo alla realizzazione personale ma deve calarsi nel contesto in cui vive e lavora». «Oggi assistiamo ad una caduta dei valori e alla dimenticanza dei principi che caratterizzano una nazione - prosegue amaro l’autore - e se colui che deve difendere il bene pubblico non lo fa, è un problema: pensate al Parlamento, e al sistema delle impronte digitale per evitare il fenomeno dei pianisti: il degrado inizia proprio lì». Quindi l’elogio al mondo femminile e la citazione di film come Il cliente con Susan Sarandon («Il bambino ha solo un dollaro e lei accetta dicendo che è il suo onorario») o Erin Brockovich con Julia Roberts («Significativa la frase “Non sono un avvocato ma capisco la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male”»). E proprio una donna, la presidente dell’associazione Diritto di difesa, Daniela Palaia, ha introdotto l’incontro esprimendo tutta la soddisfazione per il successo di pubblico ottenuto e l’importanza dei relatori che hanno partecipato ai caffè giuridico letterari, rinviando alla prossima stagione per nuovi appuntamenti.

martedì 1 giugno 2010

Una vita da birraio

Cuanta pasiòn en la vida, cuanta pasiòn…” canta Paolo Conte con quel suo tono roco inconfondibile; eppure, se al posto del vino che “spara fulmini e barbariche orazioni che fan sentire il gusto delle alte perfezionici mettiamo una buona birra artigianale, magari prodotta dal Mastro Birraio Nicolò Loconte, non faremmo torto a nessuno. Perché dopo la visita al birrificio di Antonietta Giglio in località Giovino, unico nel suo genere in tutta la regione, ciò che rimane impresso è l’amore, la professionalità, appunto la passione di Loconte, non solo nel lavorare il malto e il lievito ma anche nel raccontare quella che definisce un’arte nata per caso. «Avevo voglia di fare qualcosa e con mia moglie iniziai a fare la birra a casa, mettendo del grano nel forno e mescolandolo col lievito: dopo i primi deludenti esperimenti, gli amici hanno cominciato ad apprezzare e a spingerci ad andare avanti e così, dai 17 litri di allora siamo passati ai mille litri a cota di oggi» dice il mastro birraio. Il quale, nel corso degli anni, ha approfondito le sue conoscenze: dal lontano periodo di soggiorno in Germania («Più bevendo che producendo» confessa) fino ai corsi di specializzazione che lo hanno portato a conoscere i vari tipi di malto («I migliori sono quelli della Boemia in Repubblica ceca e i tedeschi»), le proprietà del luppolo («Non è l’elemento base della bevanda ma un fiore selvatico che profuma, da stabilità alla schiuma, è antisettico e antibiotico, ne favorisce il gusto amaro») fino ai tipi di lievito («Liquidi o in polvere liofilizzata a seconda della successiva fermentazione»). Il viaggio continua tra macchinari moderni e di ultima generazione, un vanto per Loconte, e le varie fasi della lavorazione: non è difficile immaginarlo dietro la consolle tutto preso a miscelare, con attenzione ed esperienza, gli ingredienti e le temperature. Tra fermentazione, maturazione e raffreddamento, e con dieci, dodici ore di lavorazione giornaliera, occorrono circa quattro settimane prima dell’infustamento o dell’imbottigliamento della bevanda.

Il risultato finale è una birra artigianale mai uguale a sé stessa, un prodotto crudo e non pastorizzato dal gusto «corposo e rotondo», con colori e gradazioni alcoliche diverse in base alle richieste dei clienti. «Un prodotto di qualità destinato a chi vuole assaporare qualcosa di diverso che non si trova nei grandi supermercati o nei centri commerciali» dice orgoglioso il mastro birraio che non nasconde l’aver rifiutato offerte di un importante gruppo pur di mantenere fede al proprio credo. Una realtà sorprendente, unica nel suo genere nella nostra regione e capace di garantire lavoro a tre operai, infaticabili aiutanti di Nicolò Loconte e Antonietta Giglio.

La serata prosegue presso il ristorante “Le delizie della Cascina” di Catanzaro Lido. Il locale è raccolto e accogliente, e si nota il tocco del titolare, Tommaso Biamonte, proprietario di una enoteca e sommelier professionista: siamo letteralmente sommersi da casse di vino e confezioni di champagne, con bottiglie utilizzate come elementi di design dei tavoli. Nonostante ciò, protagonista indiscussa resta la birra, per l’occasione abbinata ad un menù del tutto particolare. E così, mentre Nicolò intrattiene gli ospiti con le sue spiegazioni (proprietà e gradazione alcolica delle bevande, tecniche si spillatura e modi di degustazione), sui tavoli fanno capolino taglieri di salumi e formaggi, zuppette di fagioli, lasagne di pane tostato alle verdure con pomodoro e odori, tagliate di radicchio alla griglia e, per finire, sospiri al limone. Inutile aggiungere che non è rimasto nulla nei piatti e i commensali, satolli e contenti, sono usciti più che soddisfatti dall’ennesimo appuntamento di successo della nuova condotta Sloow Food Università di Catanzaro.



Stabilimento


Ingresso


Malto


Mastro birraio Nicolò Loconte e partecipanti