E' strano arrivare a Rosarno per la festa dei lavoratori.
Usciti dalla Salerno - Reggio Calabria, ci accorgiamo di aver imboccato la strada giusta perché al primo svincolo ci sono carabinieri, polizia e guardia di finanza a indicarti la via.
La prendiamo alla larga, arriviamo fino al porto di Gioia Tauro e torniamo indietro percorrendo una statale che costeggia i famosi agrumeti della piana, principale fonte di reddito per la popolazione locale e origine degli scontri interrazziali dei mesi scorsi.
Prima impressione: siamo a sud e si vede.
Entriamo nella cittadina di tredicimila abitanti circa da un sottopasso allagato; seguiamo la carreggiata confidando in qualche segnale ma le indicazioni sono rare come le opportunità di un lavoro regolare.
Intorno il paesaggio è quello da moderno paese calabrese: in una vasta distesa pianeggiante si alternano benzine, centri commerciali, depositi, case a due o tre piani, spesso senza intonaco e con sopraelevazioni abusive, il tutto sena alcuna linea di continuità.
Alla fine di un rettilineo ci dicono di parcheggiare alla stazione e prendere una navetta per raggiungere il raduno; ma arrivati alla ferrovia decidiamo di proseguire con la macchina: la vita scorre tranquilla, se non ci fossero le bandiere rosse della Cgil e quelle biancoverdi della Cisl, portate da gente coi berretti colorati e i panini in mano, sembrerebbe una qualunque giornata festiva.
Sono quasi le 11 e ci accorgiamo che il corteo e i comizi più importanti ci sono già stati: infatti, in parecchi camminano in senso contrario rispetto al nostro.
Parcheggiamo a poche centinaia di metri da piazza Valarioti, epicentro della manifestazione.
I locali ci indicano distrattamente la strada, avvertiamo indifferenza se non insofferenza: il dato emergerà dai resoconti dei giornalisti che sottolineeranno l'assenza di Rosarno alla manifestazione del I maggio.
Arriviamo nello spiazzo mentre dal palco urlano la loro indignazione i precari dei call center e quelli della scuola; i leader nazionali sono già andati via: l'ultimo è Guglielmo Epifani che ci passa accanto "scortato" dal servizio d'ordine della Cgil in una scena paradossale e un pò ridicola.
Il clima è di smobilitazione: bisognava fare in fretta per non perdere l'aereo per Roma, direzione piazza San Giovanni.
Ci dicono che sono passati gli assessori regionali Talarico e Stillitani, il segretario del Pd Guccione e il sindaco di Cosenza Perugini. Noi riusciamo scorgere solo qualche fascia tricolore di sindaci locali, soprattutto quella di Giannetto Speranza: baci e abbracci, saluti e pacche sulle spalle, sembra lui il protagonista della mattinata.
Si avvicina e ci stringe la mano mentre qualcuno gli dice: «La volevamo sindaco di Catanzaro!». «Ora sono il sindaco di Lamezia Terme, è quello che voglio fare e speriamo me lo lascino fare» la laconica risposta.
Il tempo di una spremuta d’arancia e di una pizza ripiena (gentile offerta della Cgil di Catanzaro, ndr) accanto alla casa del popolo intitolata a Giuseppe Valarioti, il dirigente comunista ucciso negli anni ’80 in un agguato di ‘ndrangheta rimasto senza colpevoli, e ci accorgiamo che la piazza si è già quasi del tutto svuotata.
Rimangono piccoli capannelli di persone intorno a un tavolo dove distribuiscono fette di pane con salame, qualche giornalista con telecamera sulle spalle e microfono in mano, i tecnici ad allestire il palco per la kermesse pomeridiana, alcuni membri delle forze dell’ordine in posizione defilata, un paio di extracomunitari (a parte quelli alabardati di tutto punto dalle sigle sindacali non ne abbiamo visti tantissimi).
Decidiamo di andare via pure noi, non abbiamo voglia di aspettare il concerto.
Sulla strada ci accorgiamo di non discutere delle due ore appena trascorse nella città della piana: è l’amaro segnale di quello che, con ogni probabilità, resterà del primo maggio di Rosarno: tante belle parole, la poca partecipazione dei locali, la sensazione che nulla si è fatto ieri e troppo poco si farà domani per arginare le sacche di illegalità.
Soprattutto, il terribile pensiero che gli stranieri sono ritornati nei campi a raccogliere arance e mandarini, che la loro fatica sia aumentata mentre le tutele e le garanzie per cui si è voluto dimostrare finiranno presto nel dimenticatoio.