venerdì 26 dicembre 2008

Fred Maida e Vesdan: l'auto intervista possibile...







29 dicembre, ultimo giorno della mostra “Il baratto dell’artefatto” allestita da Fred Maida e Vesdan al teatro Masciari di Catanzaro. L’esposizione, che ha registrato finora un buon successo di pubblico, si caratterizza per una duplice concezione del modo di vivere l’arte: quella per cui l’artista letteralmente “baratta” le proprie creazioni, scambiandole con qualunque altra cosa decida il visitatore (Fred Maida); e l’altra che prevede la determinazione del valore dell’opera a seconda delle condizioni e dei gusti dell’acquirente (Vesdan). “DA CIASCUNO SECONDO LE SUE POSSIBILITÀ, A CIASCUNO SECONDO I SUOI BISOGNI” è il principio adottato dai due giovani artisti catanzaresi con i quali abbiamo tentato, con risultati alterni, una possibile intervista. Come nasce, ad esempio, il titolo della mostra? «L’arte del baratto, il baratto dell’arte e il baratto dell’artefatto, artefatto inteso come fatto dalla mano dell’uomo, ma anche come inganno dell’uomo per cui in realtà noi inganneremmo - parte Fred Maida -. Comunque, siamo contenti per chi è venuto a trovarci: non solo addetti ai lavori ma anche l’U.d.S (l’uomo della strada)». Ma chi viene al Masciari cosa trova nella mostra? «Chi entra ha un contatto con una piccola parentesi che vuole sottolineare alcune cose: diamo importanza non solo al contenuto ma anche al contenitore artistico, non solo all’interno dell’opera ma anche al contesto che la circonda, al modo con cui veicolarla all’esterno, dal contesto espositivo al mondo di commercializzarla e distribuirla» prosegue Fred, giocando con della plastica di una delle sue opere. Qual è il vostro modo di intendere l’arte? Risponde Vesdan: «Il nostro progetto non si limita a collocare le creazioni lì dove sono ma rappresenta un modo diverso di vedere l’arte che vorremmo trasmettere al pubblico. C’è un principio vitale artistico nella vita dell’arte, un principio di autodeterminazione e di moderazione, di capacità di scegliere e capire il valore delle cose senza che nessuno lo faccia al tuo posto». E come risponde la gente? «Non è facile per i visitatori valutare il valore dell’opera. È una operazione ambiziosa per la quale l’arte non è quello che abbiamo visto ma è quello che vediamo, non è solo quello che ci dicono ma quello che diciamo: nel momento in cui io penso, dico e vedo, c’è arte. Non è solo un discorso sull’arte ma anche su sé stessi» Intanto Fred parla al telefono di una cena a base di cous cous e appena terminata la conversazione, racconta: «Questa qui è una mostra nomade perché i pezzi si spostano, se ne vanno, vengono rimpiazzati: è un brodo primordiale di oggetti in continua ebollizione. Le mie opere sono definitive finché non si rompono, qualunque cosa si butta o è inutilizzata la recupero e ne realizzo un assemblaggio. Mi sento come un autore che dà un indizio, una traccia. Non c’è nulla di predeterminato, tutto può mutare». Per chi viene più volte in questo spazio artistico parallelo sembra che tutto cambi, si muova, prenda vita. Al discorso si aggiunge Alessandro Badolato, visitatore amico che alla vista del registratore non si perde d’animo ma alimenta ancora di più lo spirito dei due espositori. «Mi piace l’idea del baratto - dice- è un concetto antico ma molto attuale che rischia di perdersi». E azzarda un paragone per spiegarsi: «Amo passare il natale in famiglia, una cosa che si sta perdendo, si perde il senso della festa: la stessa cosa è per il baratto, un valore che voi avete riportato in auge». Riparte Vesdan: «A me interessa il rapporto della persona col denaro: “a ciascuno secondo le proprie possibilità”. Il valore non è una cosa oggettiva soprattutto nell’arte altrimenti si esagera come il calciatore strapagato milioni di euro. È il mercato che stabilisce il valore dell’oggetto mentre da noi, qui e ora, è l’individuo, il singolo soggetto, consapevole delle proprie disponibilità». Il colloquio prosegue passando da desideri più o meno impossibili («Quante cose immaginate non siamo riusciti a realizzare per nulla o per come le avevamo pensate») a colte citazioni («“Le mie opere sono la cenere della mia arte”» ha, più o meno, detto Yves Klein») fino al mito della caverna di Platone («Le persone si fermano alle ombre proiettate sul muro dalla luce di un fuoco; noi siamo, a volte, come la luce che proietta le ombre e inganna la gente, siamo fuori dalla realtà ma torniamo dentro a dire che in realtà si tratta di artefatti e vogliamo raccontarlo perché a volte non ci credono»). Poi Badolato interviene con un frase destabilizzante: «L’arte non è per tutti e ciò non è sbagliato»! Vesdan insiste nel voler squilibrare il lato commerciale: «Abbiamo un sistema del mercato dell’arte che gestisce in maniera conforme il senso e il piacere dei potenziali clienti: si crea un falso bisogno per cui l’opera non ha alcun valore se non quello di un prodotto di investimento: se l’arte muore nel momento in cui non viene capita, peggio ancora è quando viene mercificata».

Ultima domanda: L’arte è capita? L’artista ha il dovere di guidare il curioso, il visitatore, l’appassionato?

Vesdan: «Abbiamo tolto i cartellini coi nomi, le misure e le tecniche delle opere; chi viene ha un opera nuda, senza parametri o informazioni dirette per cui sei costretto a parlare con l’artista. Siamo qui per relazionarci, col professore dell’Accademia e col semplice passante: siamo dell’idea che si deve parlare per far conoscere meglio il proprio pensiero: limitandoci al quadro spesso si parla di tutt’altro».

venerdì 19 dicembre 2008

PAROLE CHIAVE: GALLIDELLA LOGGIA A CATANZARO


Ernesto Galli della Loggia, intellettuale e firma del Corriere della sera, è stato l’ospite del terzo appuntamento di Parole chiave, la rassegna culturale ideata e presentata da Raffaele Gaetano e tenutasi presso l’auditorium dell’Itis di Catanzaro. Protagonista dell’incontro la parola “Storia” di cui i due interlocutori hanno discusso di fronte un pubblico attento e composto in larga parte da giovani. La prima domanda è stata proprio sul significato del termine. «La “Storia” ragiona sui fatti per capirne la concatenazione e le cause. È tipico della cultura occidentale e spiega il mondo in cui viviamo per intervenire con azioni concrete - esordisce Galli della Loggia - e dovrebbe far parte del bagaglio civico di ogni persona. Ha una funzione etica perché studia il problema del “potere”, la lotta dei vari gruppi umani per ottenerlo, come e per quali fini praticarlo». Gaetano chiede un giudizio sui manuali italiani. Per il giornalista romano «i testi servono alla scuola per dare una prima formazione elementare anche perché senza idee e valori, i fatti diventano cronaca». Pensare, però, ad un racconto degli avvenimenti oggettivo è pura illusione: «La “Storia” è stata inventata per essere usata a fini politici, non esiste la neutralità. I nostri libri sono stati lo specchio delle ideologie dominanti in determinati periodi del paese». Della Loggia parla dell’Italia come di un «paese “mosso”: nei suoi valori di fondo è conservatrice, tant’è che la Destra ha un margine elettorale numericamente superiore; ma la cultura è sempre stata appannaggio della Sinistra». «E i mass media riequilibrano la differenza?» incalza Gaetano. «Non direi - risponde - su sette canali solo un è sfacciatamente filo Berlusconiano, basta osservare i programmi giornalistici di Mediaset: il successo dell’attuale Primo ministro non è dipeso dalle televisioni ma è dovuto al fatto che è un animale elettorale. Saper governare, però, è un altro discorso». Il colloquio prosegue sull’evento storico più importante degli ultimi decenni («L’abbandono da parte della Cina dell’economia collettivistica, un passaggio epocale che sconvolgerà gli equilibri mondiali») e sul concetto di nazione. L’autore de “La morte della Patria”, pamplhet che ha fatto molto discutere negli anni ’90, ricorda «il settennato presidenziale di Carlo Azeglio Ciampi durante il quale è stato riproposto con forza il tema dell’unità nazionale: dopo il fascismo in tutta l’Europa occidentale il tema della Patria è stato oscurato mentre ad Est, liberi dal blocco sovietico il nazionalismo si è espanso: c’è una forte discrasia nel vecchio continente». Ma cosa significa oggi essere italiani? «“La nazione è un plebiscito di tutti i giorni” – dice Galli della Loggia citando il filosofo francese Ernest Renan – ma è una domanda da porre a tutti gli italiani. Abbiamo condiviso gli stessi avvenimenti, la religione la gastronomia: pensiamo alla diffusione dell’olio d’oliva meridionale, del panettone milanese o all’orario dei pasti. Oggi c’è diffidenza verso l’identità nazionale perché sembra dividere le persone invece la reputo indispensabile per una moderna integrazione: oggi occorre far diventare italiani quelli che vengono nel nostro paese». Gaetano obietta sottolineando il successo della Lega Nord. Il discorso si fa più complesso: «Insegno in Brianza, nel cuore del Leghismo. Il partito di Bossi non è solo cravatte verdi e parole incendiarie: prende voti perché da voce a chi protesta contro l’eccessivo carico tributario senza ottenere nulla in cambio: in Lombardia, che produce da sola circa il 20% del Pil italiano, mancano infrastrutture e servizi essenziali. Nelle piccole e medie comunità, poi la maggior parte dei dipendenti pubblici sono meridionali: ciò provoca disaffezione tra i locali. Secondo voi, cosa succederebbe se in Calabria ci fosse una invasione di gente che parla i dialetti del Nord». Infine un accenno alla ‘ndrangheta: la mancanza di Stato ha favorito la criminalità organizzata? «Abbiamo imparato a leggere e scrivere, a camminare su strade asfaltate e ferrovie, a curarci gratuitamente negli ospedali grazie allo Stato. Se non si conduce un battaglia seria e determinata contro la criminalità è anche perché i cittadini delle regioni del Sud non lo chiedono. Ordine pubblico e sviluppo economico camminano di pari passo».

venerdì 12 dicembre 2008

Laura Curino a Catanzaro


Peccato per chi non c’era. Peccato per chi ha perso “Camillo Olivetti”, lo spettacolo di Laura Curino dedicato alla vita dell’imprenditore piemontese e di scena, ieri sera, al teatro Masciari di Catanzaro. In giacca e pantaloni neri, sui quali spiccava l’intenso rosso dei capelli, la Curino trascina lo spettatore in un racconto che sembra inventato ma che invece è straordinariamente reale. L’uomo che ha creduto nella fabbrica di macchine da scrivere è protagonista di una esistenza ricca di avvenimenti. Figlio di ebrei borghesi, dopo l’esperienza del collegio a Milano e superato il ginnasio a pieni voti, Camillo (in omaggio al conte di Cavour) consegue la laurea in ingegneria, parte per gli Stati uniti d’America, dove sarà assistente di Elettrotecnica alla Stanford University in Californiana, e vive una serie di esperienze che lo segneranno per sempre (grazie anche alla conoscenza di persone come Thomas Edison). Torna in patria pieno di progetti e si lancia prima in una attività per la fabbricazione di misuratori elettronici (la C.G.S., Centimetro, grammo, secondo) per poi dedicarsi interamente all’opera che gli darà fama internazionale. La Curino racconta gli eventi attraverso la testimonianza di due donne fondamentali nella vita dell’inventore. Innanzitutto, Elvira Sacerdoti, la mamma di Olivetti che da Modena («Città dell’utilità e del diletto») si trasferisce ad Ivrea («mai particolarmente amata»). Dopo la morte del marito, a chi gli chiedeva perché il figlio crescesse come un “vitello slegato”, lei, insegnante di lingue, rispondeva così: «La parola “vino” è tradotta in modo simile perché è uguale dappertutto, ma “bambini” o “childrens” o “enfants” o “ninos” sta a significare che ciascuno li fa per come è capace). L’altra donna è la moglie Luisa Revel, l’amore di una vita, l’unica capace coi suoi silenzi di tranquillizzare quella furia umana. Nel mezzo la nascita dei cinque figli (tra cui Adriano, colui che prenderà in mano le redini dell’impresa e al quale Camillo dirà: “Tu puoi fare qualunque cosa tranne licenziare qualcuno per motivo dell’introduzione di nuovi metodi perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe operaia”!); l’impegno politico a favore del Partito socialista, e il senso del lavoro e del sacrificio per un uomo che non amava separare l’attività intellettuale da quella pratica («Dai in mano l’impresa ad un ingegnere e cesserà di esistere!»). Laura Curino racconta l’epopea di Camillo Olivetti con viva partecipazione; riesce a non stancare mai l’ascoltatore aiutandosi con la mimica e i cambi di tonalità necessari per interpretare i vari personaggi. Cattura il pubblico quando spiega la nascita, nel 1907, della “Ing. C. Olivetti & C.”, e l’Esposizione internazionale di Torino del 1911 durante la quale gli operai di Camillo saranno i protagonisti portando a termine il prototipo della M1. Coinvolge il pubblico interrogandolo su chi ha inventato cosa («Chi ha inventato la radio? E la pila? E la locomotiva? Bravi, siete preparati!») e conclude declamando alcuni passi del libro edito da Baldini Castaldi Dalai dedicato all’uomo che è riuscito a coniugare bellezza e utilità, produzione e rispetto per il lavoratore. E la cui invenzione più importante, la Lettera22, è tuttora esposta nella collezione permanente di design al Moma di New York.

Sciopero Cgil a Catanzaro

«La Cgil non si fermerà fino a quando non vedremo risultati concreti; andremo avanti nella nostra battaglia perché c'è in gioco il futuro di milioni di lavoratori e di famiglie italiane». Raffaele Mammoliti, segretario regionale Cgil Calabria, conclude così la manifestazione organizzata a Catanzaro, alla quale hanno preso parte alcune centinaia di persone che hanno coraggiosamente affrontato un vento sferzante a tratti accompagnato da una pioggia fastidiosa. In piazza Prefettura ci sono pezzi della sinistra locale, da Rifondazione comunista al Partito dei comunisti italiani, dal Partito comunista dei lavoratori fino alla Sinistra democratica. Si scorge anche il sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza. È un susseguirsi di volantini che attaccano, senza remore, le misure del Governo Berlusconi come la stretta su salari e pensioni che ha portato alla "misery card" (la Social card di Tremonti, ndr) con la quale sono destinate alle persone più povere circa "1,33 euro al giorno". Ma s'incitano pure gli operai, di qualunque provenienza politica, ad unirsi per "licenziare gli industriali" e "nazionalizzare le aziende in crisi a difesa del posto di lavoro". Non mancano gli studenti e i precari, tra i primi ad intervenire sul palco dopo il minuto di silenzio dedicato agli operai morti suoi luoghi di lavoro. Saverio, impiegato in un call center, parla di «trattamenti poco dignitosi nei confronti dei lavoratori, costretti a subire i licenziamenti senza che qualcuno ne sappia spiegare i motivi». Paolo, invece, rappresenta gli universitari, accompagnato da uno striscione che recita "Basta concertazione, rialziamo la testa": «La città è passiva e insensibile a quanto sta accadendo – dice – pur nella consapevolezza della condizione lavorativa che ci spetta perché sempre più spesso ci ritroviamo tra un libro e una postazione di call center, tra un vocabolario e un pacco di volantini da distribuire». Legge un documento nel quale elenca i guasti delle leggi Tremonti e Gelmini e conclude con una rivendicazione: «Quella di una esistenza più dignitosa, imponendo i nostri bisogni sociali, abitativi, occupazionali e formativi che non possono e non devono essere subordinati al profitto di pochi». A prendere la parola è, poi, Alfredo Iorno, Segretario generale Catanzaro – Lamezia, il quale dopo aver ringraziato i coraggiosi che hanno partecipato nonostante le condizioni climatiche proibitive, ribadisce le ragioni di una iniziativa «voluta per incalzare il Governo a prendere provvedimenti che tutelino le fasce più deboli della popolazione e che non mirino solo a tagli di bilancio che penalizzano situazioni già in crisi». Manifesta anche per quei sindaci che «a causa delle riduzioni di spesa non potranno garantire servizi essenziali» e per preservare un «Welfare universale che riconosca i diritti di tutti, dagli studenti ai pensionati». Iorno ha parole di conciliazione nei confronti di Cisl e Uil «perché i valori in cui crediamo vanno difesi insieme» e promette che «la Cgil non abbandonerà mai la battaglia per tutelare i diritti civili». Le conclusioni, come già scritto, toccano a Raffaele Mammoliti: «E' in piazza l'Italia democratica, protagonista di una manifestazione pacifica, ordinata e corretta, con la quale chiediamo al Governo un netto cambio di rotta». «I rinnovi contrattuali sono stati una miseria e tanti lavoratori non hanno più un impiego garantito. Berlusconi invita ad avere fiducia, ma noi gli chiediamo: in che cosa? - chiede Mammoliti che aggiunge - Possibile che solo la Cgil si pone domande del genere?» Il segretario regionale attacca Sacconi e il suo Libro verde («Un attentato alla sanità e all'assistenza sociale») e riprende il discorso sulla scuola: «Mentre a Platì si inaugura l'anno scolastico, si vuole smantellare la scuola pubblica che rappresenta un presidio democratico: ci opporremo con ogni forza». «Ci batteremo contro i provvedimenti iniqui, deboli, una tantum e che non danno risposte serie come la Social card – prosegue Mammoliti – ma anche in Calabria, per quanto alcune scelte della Giunta ci appaiono ragionevoli, continueremo l'attività di controllo e stimolo, soprattutto per una razionale, seria ed equilibrata gestione dei fondi europei. Il nostro obiettivo è dare una prospettiva ai nostri giovani, dare corpo ad un progetto in cui le nuove generazioni si possano riconoscere»