29 dicembre, ultimo giorno della mostra “Il baratto dell’artefatto” allestita da Fred Maida e Vesdan al teatro Masciari di Catanzaro. L’esposizione, che ha registrato finora un buon successo di pubblico, si caratterizza per una duplice concezione del modo di vivere l’arte: quella per cui l’artista letteralmente “baratta” le proprie creazioni, scambiandole con qualunque altra cosa decida il visitatore (Fred Maida); e l’altra che prevede la determinazione del valore dell’opera a seconda delle condizioni e dei gusti dell’acquirente (Vesdan). “DA CIASCUNO SECONDO LE SUE POSSIBILITÀ, A CIASCUNO SECONDO I SUOI BISOGNI” è il principio adottato dai due giovani artisti catanzaresi con i quali abbiamo tentato, con risultati alterni, una possibile intervista. Come nasce, ad esempio, il titolo della mostra? «L’arte del baratto, il baratto dell’arte e il baratto dell’artefatto, artefatto inteso come fatto dalla mano dell’uomo, ma anche come inganno dell’uomo per cui in realtà noi inganneremmo - parte Fred Maida -. Comunque, siamo contenti per chi è venuto a trovarci: non solo addetti ai lavori ma anche l’U.d.S (l’uomo della strada)». Ma chi viene al Masciari cosa trova nella mostra? «Chi entra ha un contatto con una piccola parentesi che vuole sottolineare alcune cose: diamo importanza non solo al contenuto ma anche al contenitore artistico, non solo all’interno dell’opera ma anche al contesto che la circonda, al modo con cui veicolarla all’esterno, dal contesto espositivo al mondo di commercializzarla e distribuirla» prosegue Fred, giocando con della plastica di una delle sue opere. Qual è il vostro modo di intendere l’arte? Risponde Vesdan: «Il nostro progetto non si limita a collocare le creazioni lì dove sono ma rappresenta un modo diverso di vedere l’arte che vorremmo trasmettere al pubblico. C’è un principio vitale artistico nella vita dell’arte, un principio di autodeterminazione e di moderazione, di capacità di scegliere e capire il valore delle cose senza che nessuno lo faccia al tuo posto». E come risponde la gente? «Non è facile per i visitatori valutare il valore dell’opera. È una operazione ambiziosa per la quale l’arte non è quello che abbiamo visto ma è quello che vediamo, non è solo quello che ci dicono ma quello che diciamo: nel momento in cui io penso, dico e vedo, c’è arte. Non è solo un discorso sull’arte ma anche su sé stessi» Intanto Fred parla al telefono di una cena a base di cous cous e appena terminata la conversazione, racconta: «Questa qui è una mostra nomade perché i pezzi si spostano, se ne vanno, vengono rimpiazzati: è un brodo primordiale di oggetti in continua ebollizione. Le mie opere sono definitive finché non si rompono, qualunque cosa si butta o è inutilizzata la recupero e ne realizzo un assemblaggio. Mi sento come un autore che dà un indizio, una traccia. Non c’è nulla di predeterminato, tutto può mutare». Per chi viene più volte in questo spazio artistico parallelo sembra che tutto cambi, si muova, prenda vita. Al discorso si aggiunge Alessandro Badolato, visitatore amico che alla vista del registratore non si perde d’animo ma alimenta ancora di più lo spirito dei due espositori. «Mi piace l’idea del baratto - dice- è un concetto antico ma molto attuale che rischia di perdersi». E azzarda un paragone per spiegarsi: «Amo passare il natale in famiglia, una cosa che si sta perdendo, si perde il senso della festa: la stessa cosa è per il baratto, un valore che voi avete riportato in auge». Riparte Vesdan: «A me interessa il rapporto della persona col denaro: “a ciascuno secondo le proprie possibilità”. Il valore non è una cosa oggettiva soprattutto nell’arte altrimenti si esagera come il calciatore strapagato milioni di euro. È il mercato che stabilisce il valore dell’oggetto mentre da noi, qui e ora, è l’individuo, il singolo soggetto, consapevole delle proprie disponibilità». Il colloquio prosegue passando da desideri più o meno impossibili («Quante cose immaginate non siamo riusciti a realizzare per nulla o per come le avevamo pensate») a colte citazioni («“Le mie opere sono la cenere della mia arte”» ha, più o meno, detto Yves Klein») fino al mito della caverna di Platone («Le persone si fermano alle ombre proiettate sul muro dalla luce di un fuoco; noi siamo, a volte, come la luce che proietta le ombre e inganna la gente, siamo fuori dalla realtà ma torniamo dentro a dire che in realtà si tratta di artefatti e vogliamo raccontarlo perché a volte non ci credono»). Poi Badolato interviene con un frase destabilizzante: «L’arte non è per tutti e ciò non è sbagliato»! Vesdan insiste nel voler squilibrare il lato commerciale: «Abbiamo un sistema del mercato dell’arte che gestisce in maniera conforme il senso e il piacere dei potenziali clienti: si crea un falso bisogno per cui l’opera non ha alcun valore se non quello di un prodotto di investimento: se l’arte muore nel momento in cui non viene capita, peggio ancora è quando viene mercificata».
Ultima domanda: L’arte è capita? L’artista ha il dovere di guidare il curioso, il visitatore, l’appassionato?
Vesdan: «Abbiamo tolto i cartellini coi nomi, le misure e le tecniche delle opere; chi viene ha un opera nuda, senza parametri o informazioni dirette per cui sei costretto a parlare con l’artista. Siamo qui per relazionarci, col professore dell’Accademia e col semplice passante: siamo dell’idea che si deve parlare per far conoscere meglio il proprio pensiero: limitandoci al quadro spesso si parla di tutt’altro».