sabato 20 giugno 2009

Referendum elettorale: sì o no?

Fu con un referendum istituzionale che, nel 1948, l’Italia scelse la forma di governo repubblicana è mandò in esilio i reali di Savoia. Con lo stesso strumento (il cui significato originario deriva dal latinismo “ad referendum”, in ambito diplomatico il “concludere un accordo in attesa di ratifica”) abbiamo detto “no” all’abrogazione del divorzio (1974), confermato la legge sull’aborto (1981), impedito l’utilizzo del nucleare (1987), cancellato le sanzioni penali per i consumatori di droghe leggere ed eliminato il finanziamento pubblico ai partiti (1993), sostenuto la privatizzazione della RAI e cambiato la legge elettorali dei Piccoli comuni (1995). Dalla metà degli anni novanta in poi, nessun altro referendum ha più raggiunto nel nostro paese il quorum necessario per esplicare i propri effetti. D’altronde, l’estrema varietà degli argomenti trattati (dalla Caccia all’abolizione dell’Ordine dei giornalisti dalla carriera dei magistrati sino alla procreazione medicalmente assistita), l’eccessivo tecnicismo dei quesiti, una ricorrenza al voto non più eccezionale e lo stravolgimento dell’istituto, spesso utilizzato come nuova e ulteriore fonte normativa primaria, hanno allontanato irrimediabilmente i cittadini da uno (se non il solo) mezzo di democrazia diretta ancora a loro disposizione. Domenica e lunedì circa 50 milioni di italiani saranno chiamati a decidere se modificare o meno l’attuale legge elettorale. In caso di vittoria del “sì” ai quesiti numeri 1 e 2, si impedirà il formarsi delle coalizioni, si alzerà la soglia di accesso a Camera (4%) e Senato (8%), il premio di maggioranza andrà solo alla lista che avrà ottenuto più voti. Non è un caso che i piccoli partiti invitino all’astensione o a votare “no”: in attesa di una riduzione significativa dei parlamentari, si otterrebbe una prima importante diminuzione delle sigle politiche. Altro discorso riguarda il terzo quesito: la maggioranza dei “sì” vieterà allo stesso candidato di presentarsi in tanti collegi per raccogliere più voti. Per intenderci, Di Pietro e Berlusconi non potranno candidarsi in più circoscrizioni come avvenuto alle ultime europee per accaparrarsi il massimo delle preferenze e poi decidere chi far salire e chi no. Nonostante il poco impegno, a parte qualche rara eccezione, di leader politici e rappresentanti istituzionali, di partiti e associazioni, gli italiani sono chiamati nuovamente ad esprimersi (la prima volta avvenne nel 1993), con uno strumento di democrazia diretta (il referendum), su un argomento (il sistema elettorale) sul quale avevano già detto la loro (preferenza per il maggioritario). Indipendentemente dalla scelta dei “sì” o dei “no”, recarsi al voto sarebbe un segnale importante per la democrazia rappresentativa: dimostrerebbe che l’opinione pubblica, umorale e poco coerente in tempi di “antipolitica”, in realtà ha voglia di partecipazione, è consapevole del proprio futuro, non lascia che sulle questioni importanti la scelta spetti solo all’élite chiamata a rappresentarla. L’altro lato della medaglia è una scarsa affluenza alle urne per disinteresse o, ancora peggio, per mancanza di fiducia o totale disincanto rispetto l’efficacia che può avere un referendum.

mercoledì 10 giugno 2009

Commento al voto in città

Un Pdl in salute, un Pd ridimensionato e l’Idv che conferma in città l’exploit nazionale: “Niente di nuovo sotto il sole” verrebbe da pensare snocciolando i risultati della tornata elettorale dello scorso fine settimana. Impegnati a scegliere solo chi mandare al Parlamento europeo, il primo dato che salta agli occhi è la scarsa affluenza alle urne degli elettori catanzaresi: il capoluogo è sotto di circa venti punti rispetto la media nazionale (43% a fronte del 65%), che tradotto significa 33mila votanti, ben 23mila in meno in confronto alle elezioni del 2008. I quali hanno confermato il trend emerso negli ultimi appuntamenti elettorali: il Pdl è il primo partito in città e pur perdendo qualche consenso rispetto le precedenti politiche (passa dal 44% al 39%), aumenta la forchetta rispetto al partito di Piero Amato e Agazio Loiero (il Pd raggiunge il 22%, ben 17 punti di differenza rispetto al Pdl). Un dato importante per gli azzurri del capoluogo che ambiscono non solo a riprendere la guida dell’amministrazione comunale (in pole position c’è sempre Michele Traversa), ma anche ad esprimere la candidatura a presidente della Giunta regionale (torna in auge il nome di Giancarlo Pittelli). Si afferma, quale terza forza, l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, un partito che è riuscito a raccogliere tanti voti dei democratici delusi e che ha scommesso, e bene, su persone come Luigi De Magistris: quest’ultimo ha ottenuto da solo circa 3.800 preferenze, il secondo più votato dopo Berlusconi fermo a quota quattromila. Tanto da far dire a Marco Travaglio come il risultato di Catanzaro sia «uno dei più bei segnali che vengono inviati alla classe politica o a quello che ne resta». Chissà come “monetizzeranno” il successo gli uomini di Idv, visto che il partito non ha mai sfondato così tanto nel capoluogo e ora può contare su un importante 17% di consensi: alla prova del governo, il rischio è ripetere l’esperienza dei Radicali che ebbero un successo enorme alle europee del 1999 e oggi non ottengono neppure un seggio a Strasburgo. Un buon risultato l’ha ottenuto, invece, la coalizione che ha visto uniti la Destra di Storace con il Movimento per le Autonomie di Tallini: il candidato catanzarese Andrea Lorenzo ha convinto circa 888 elettori. Deludente, d’altro canto, la prestazione dell’Unione di Centro di Mario Tassone che perde pezzi e voti e arretra, rispetto le precedenti politiche, attestandosi intorno al 5%. Interessante anche il risultato ottenuto da Sinistra e libertà di Nichi Vendola (3,66%) che supera di circa un punto percentuale quello di Rifondazione e Comunisti italiani (2,76%): insieme, sarebbero la quarta forza in città. Un dato su cui riflettere per evitare che Gatto e Occhini vengano ricordati come i primi e gli ultimi rappresentanti comunisti al governo del capoluogo. Tra le curiosità, da segnalare i 368 voti della Lega Nord (avrà inciso la proposta per “Catanzaro capitale” avanzata da Cnc?), i consensi registrati da Giacomo Mancini (1.482) e quelli per Clemente Mastella (268) entrambi in quota Pdl: a Catanzaro, nonostante tutto, c’è ancora chi vuole bene all’uomo di Ceppaloni.

domenica 7 giugno 2009

Ma chi me l'ha fatto fare?

Ho svolto il mio dovere di bravo cittadino alle 21 circa di sabato. Con in mano tessera elettorale e carta d’identità mi sono recato, per la tredicesima volta, alla sezione numero 10 di via Tommaso Campanella: È dal maggio del 2001 che voto nella scuola dedicata al filosofo della Città del sole. “Chissà che opera realizzerebbe ai giorni nostri” penso tra me e l'unica cosa che mi viene in mente, con scarsa ironia, è «uTopia, il paese delle veline». Noto subito che nel cortile antistante l’istituto non c’è il solito capannello di persone che in altre circostanze avrebbe controllato, annotato, salutato e suggerito. In realtà non c’è proprio nessuno! Sarà l’ora, sarà il giorno (inizio weekend!), sarà che delle elezioni europee non importa più di tanto. Mi avvicino alla porta della mia sezione, la seconda sulla destra al pianterreno, non prima di aver superato la numero 9 e quella di fronte: in tutte le stanze, la sintesi è quanto avviene nel momento in cui solco la porta: cinque persone annoiate e in attesa, le quali hanno un sussulto di felicità alla mia vista: Un elettore! Finalmente! Dopo sei ore dall’apertura dei seggi, checché se ne dica, meglio guadagnarsele quelle poche centinaia di euro destinate a scrutatori e presidenti di seggio. Ha inizio il solito rituale: aspetto che mi controllino la tessera per verificare che il Mirko Vespertini stampato sopra corrisponda al nome indicato sulla carta d’identità. Quindi prendo la mia scheda (a noi meridionali tocca quella color arancione chiaro) e mi infilo nell’urna più vicina, segno una bella ics sul partito, scrivo la bellezza di tre cognomi, richiudo accuratamente il foglio, torno dal presidente a cui consegno il tutto, conservo carta d’identità e tessera elettorale, dico “Buonasera e buon lavoro” e vado via, destinazione mare. Prima di uscire incontro un conoscente, uno dei fortunati (?) scelti, selezionati, sorteggiati (boh!) per presiedere una delle sezioni: mano destra che sorregge la testa e gomito appoggiato all’urna alla quale si abbandona con tutta la parte superiore del corpo, sguardo annoiato, nell’immobilità della stanza e dei presenti, in un misto di auto compatimento tipico del sud e desiderio di parlare con qualcuno, riesce solo a dire: «Ma chi me l’ha fatto fare?».